Ventitreesima “lettera dalla missione”: Nicola, volontario Urukundo in Burundi, ci scrive per aggiornarci sulla sua esperienza in terra di missione.
Cari ragazzi/ragazze,
Come state??
Per me è stata una settimana lunga e intensa, come d’altronde ogni settimana qua.
Le giornate sono lunghe e molto molto spesso arrivo a cena che sono distrutto, e non trovo neanche più l’energia per scrivere. Sono ritmi che non ho mai percepito in vita mia, ritmi che devo ancora interiorizzare. Ritmi che in fin dei conti non riuscirò mai totalmente a fare miei. Le settimane scorrono una dopo l’altra, e i miei più vari pensieri scorrono con loro. Giorno dopo giorno sono sempre attraversato da emozioni diverse, direi alquanto contrastanti. Mi basta un niente per pensare di sentirmi veramente felice, quando quello stesso niente molto spesso mi fa sprofondare in basso ricordandomi quanto sono fragile e quanto la mia sensibilità molto spesso mi prevarica, facendomi sentire triste. Facendomi sentire solo. In realtà tutto questo naturalmente mi scuote tanto, e al contempo mi affascina perché sostanzialmente è questo ciò che cercavo. Finalmente un momento per mettermi profondamente in discussione. Un momento per cercare di mettermi davanti a me stesso, soffrendo e gioendo di un Nicola che nasce, e che muore e che rinasce continuamente. Un Nicola che si scopre giorno dopo giorno diverso da quello che arrogantemente pensava di essere, da quello che pensava di sapere. Penso che sia il viaggio più difficile che abbia fatto nella mia piccola vita. Mi aspettavo qualcosa di forte, ma penso sempre di più che sia così complesso descrivere come ci si possa sentire, cosa si possa veramente provare. Non riesco a trovare le parole, e forse a volte il mio stesso viso non riesce a esprimere a pieno le emozioni che prova. In ogni caso sono profondamente contento della mia tristezza e della sofferenza che provo a volte, dal momento che è proprio grazie a queste che riesco a crescere, a capire che cosa voglio dalla vita e che cosa la vita d’altronde esige da me. Molto spesso mi risulta complesso condividere tante cose con i fratelli della congregazione. Oltre a tanti pensieri e a tanti soggetti di discussione che, un po’ come facciamo tutti noi, posso condividere e scrivere solo con me stesso, trovo una gran difficoltà a esprimere con loro la mia tristezza di fondo. Siamo così diversi per tanti tanti aspetti della vita, ma al contempo essa stessa ci unisce attraverso un dolce e materno abbraccio di amore per tante altre particolarità della vita. Condividere la tristezza o bene dei momenti dove il mio cuore è debole, è un’intimità che non riesco a esprimere facilmente e a pieno. Condividere il fatto di sentirsi a volte solo (anche se sempre con qualcuno fisicamente) nell’altra parte del mondo è difficile da comprendere per persone che non hanno mai lasciato il loro paese natale. Condividere quanto a volte può essere pesante non sentirsi libero di poter camminare in pace, senza che un flusso di persone si fermino a guardarti o meglio dire a fissarti, dal momento che il colore della mia pelle ricorda a tutti il colore sporco e mefistofelico del funesto dio denaro. Condividere che oltre a essere un uomo bianco, o più precisamente prima di essere un uomo bianco sono un essere umano come loro, come tutti d’altronde. Un essere umano che soffre, che ama, che piange e che gioisce come fanno tutti o come almeno tutti dovrebbero avere il coraggio divino di fare. Condividere il fatto che non sono un super-uomo perché sono nato nell’occidente, ma che realtà sono un fantastico niente, un fantastico soffio di polvere né più né meno di tutti gli altri nei confronti dell’immensità di un universo che ci ha preceduti, e che continuerà a sorridere un bel giorno con o senza di noi. Mi piacerebbe sentirmi libero. Libero come quando incontro il sorriso di un bambino a scuola. Libero come quando lo stesso bambino mi prende per mano come se ci conoscessimo da tutta una vita. Libero come quando vedo scherzare di gioia i ragazzi dell’internato. Sembrano così innocenti, è come se la durezza e allo stesso tempo la complessità della vita che li circonda non li avesse neanche toccati. O bene è come se in ogni caso tutto tendesse verso il bene per loro, verso un insistente ottimismo di fondo, una sorta di sorriso condiviso che gli permette di andare avanti. Che gli permette di sollevare sempre la testa verso la profondità immacolata del cielo. Mi piacerebbe tanto un giorno riuscire a farmi pervadere da quel sorriso. Da quel puro desiderio di stare e di essere insieme. Spero che possiate un po’ immaginarmi in queste parole e in queste emozioni contrastanti, che cerco con tutto il mio cuore di descrivere tali esse sono. Personalmente mi rasserena molto lo scrivere, poiché mi permette in ogni momento di riconciliarmi con me stesso. Qualsiasi sia il dipinto di emozioni che mi attraversa e mi colora, lo scrivere mi permette di esprimerlo, e esprimendolo riesco a cogliere quel piccolo barlume di me stesso in quel preciso momento emotivo, prima che il vento dei sentimenti continui imperterrito il suo infinito percorso interiore.
Detto questo vorrei continuare il mio piccolo racconto interiore, descrivendovi il nostro abitudinario sport settimanale. Sport che mi ha recato tanta tanta gioia. Siamo partiti tutti insieme, e subito i nostri ragazzi hanno cominciato a cantare e a danzare mentre correvamo verso il campo. Wooow, sapete per gioia o per sfortuna ho passato tanti anni della mia vita a giocare a calcio, ma delle emozioni simili non le avevo mai provate. Forse avevo proprio bisogno di trovarmi nell’altra parte del mondo per capire quanto lo sport possa veramente unire, e quanto un canto condiviso possa sollecitare quell’energia infantile che ci porta a far sorridere per tutto. Quella stessa energia che ci unisce, perché è un’energia vera. Perché è un’energia pura. È un’energia che non si può comprare, perché proviene da dentro e perché necessita di essere sentita come propria, di essere sentita come propria dell’Io che incontra il sorriso dell’Altro. L’Altro che in realtà è composto da quello stesso iniziale Io che l’ha formato, o meglio dire che l’ha co-creato. Ciò che purtroppo molto spesso percepiamo come diverso, come Altro spaventoso, non è nient’altro che il nostro stesso viso interiore. Un viso che riposa dentro ognuno di noi, ma che noi non conosciamo ancora ed è proprio per questo che ci spaventa. Abbiamo terribilmente paura di ciò che non conosciamo, quando in realtà dovremmo essere profondamente affascinati di scoprire a poco a poco un’altra espressione di noi stessi. In fin dei conti si tratta solo di questo. È un’espressione nuova, che dovremmo accogliere e integrare tanto gioiosamente come accogliamo e integriamo le espressioni del nostro Io che già conosciamo. Conformiamoci al nuovo, allo sconosciuto, alla diversità poiché riposa proprio nel cambiamento la bellezza miracolosa della vita. Non dovremmo avere paura, dal momento che ciò che incontreremo nel nostro cammino è soltanto quello che siamo, e che la vita ci sussurra gentilmente di divenire giorno dopo giorno. Bisognerebbe recuperare quell’ascolto interiore di fondo che ci permetterebbe di sentirci più bisognosi dell’Altro, più bisognosi di scoprire e riscoprire la verità di e su noi stessi.
In ogni caso la partita è stata fantastica. Gli altri ragazzi che non giocavano, cantavano e danzavano fuori per sostenerci e per sostenersi. Quando facevamo goal, qualcuno entrava in campo e iniziava a fare le piroette tutto contento di sentirsi parte integrante del tutto. Sinceramente non so se c’è la farei, se non stessi tutti i giorni con i ragazzi. Mi danno gioia, e allo stesso tempo mi regalano l’energia per andare avanti.
Ho cominciato anche il corso di approfondimento con i più piccoli. Il loro livello di francese è molto molto basso, però fortunatamente uno studente fra loro comprende bene il francese quindi mi funge anche da traduttore. Per contro per quanto riguarda l’inglese, sembra proprio che gli piaccia tanto. Quindi se il parlare risulta ancora molto difficile, il loro desiderio di apprendere è notevole e al contempo confortante. Fra l’altro venerdì scorso ho cominciato con il corso d’italiano nell’istituto dell’Inter-noviziato che farò ogni venerdì mattina. La classe è abbastanza numerosa dal momento che sono una trentina. È stata una bella emozione iniziare, e d’altronde desiderosi come sono d’interiorizzare l’italiano penso che passeremo un anno eccellente insieme dove sia io che loro avremo modo di imparare tanto.
Mi piacerebbe terminare spendendo un po’ di parole sulla politica.
Comincio con la politica. Quindi diverse voci mi dicono (declamandolo come veritiero) che le suore italiane uccise a Bujumbura hanno fatto parte di un assassinio dettato dal governo attualmente al potere. Secondo molti esse avevano scoperto che diversi militari e poliziotti venivano di notte a sotterrare dei cadaveri proprio nel loro pezzo di terra attiguo alla loro comunità. Quindi una volta scoperto che cosa succedeva di notte nella loro proprietà, decisero di aprire la bocca e di dichiarare ad alta voce il crimine che prendeva vita di notte. Dicono che la loro morte sia stata proprio dovuto dal fatto, che avevano parlato troppo e specialmente ad alta voce. Fra l’altro le stesse voci dicono che nella loro comunità dormiva una donna francese, che aveva fatto parte dello smascheramento della milizia che il governo stava segretamente edificando in Congo. La stessa francese doveva essere assassinata come le suore, ma fortunatamente il giorno dell’assassinio non si trovava più in quella comunità. Per contro per quanto concerne il detenuto militante che era in prigione, è stato finalmente liberato ma è agli arresti domiciliari a Bujumbura, da dove non può assolutamente muoversi. Pubblicamente il partito al potere ha ammesso la presenza di soldati burundesi in allenamento in Congo, dando però tutta la colpa al partito in opposizione dicendo che sono stati loro a cominciare l’edificazione di tale milizia. Quando penso alla sporca sporcizia che pervade la politica di tutto il mondo, e al contempo alzo i miei occhi al cielo e vedo le stelle mi ripeto istante dopo istante quanto l’uomo è nato fortunato di poter essere attorniato da così tante meravigliose bellezze naturali che ci chiamano e ci richiamano costantemente, ma lo stesso uomo cieco e zoppo per l’egoismo e la cattiveria che l’ha corrotto non ha neanche più al tempo di fermarsi a parlare con se stesso, per poi poter contemplare quelle gioie accessibili a tutti che la vita ci ha donato senza alcun bisogno di conquistarle a scapito di altri né di soffocarle come se tutto fosse sotto il nostro tirannico dominio. Oh povero uomo, divenuto miope nei confronti di ciò che più gli è caro! Ovvero il suo stesso fratello di vita, quell’Altro Io che fa parte di noi stessi molto di più di quanto molti purtroppo pensano. Quell’Altro Io che riposa dentro ciascuno di noi, che molti hanno ciecamente dimenticato. Povero e infelice quell’uomo che dimenticando l’Altro, ha dimenticato tutto ciò che l’ha creato, tutto ciò che è e tutto ciò che ciecamente non potrai mai divenire.
Oh Uomo, cerca di recuperare a poco poco quel desiderio naturale di cambiare, di cambiarti, di cambiarci con quell’Altro che tanto ci tende la mano poiché ha bisogno di tutti noi tanto quanto noi abbiamo bisogno di lui, tanto quanto noi abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi nell’Altro e con l’Altro. Soltanto ricominciando a riscoprire quel tesoro mai finito che riposa dentro di noi, ritroveremo mano nella mano il sorriso della Vita. Quella stessa vita che ci ha sempre unito, e che ci unirà per sempre.
Detto questo vi saluto e vi abbraccio fortemente.
Buon cammino per tutti voi.
Uniti per sempre nell’incontro dell’Amore.
Nicola.
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