Francis, Frank, Louis, Mike, Lucas, Evans… sono questi i nomi di alcuni immigrati che ci hanno fatto visita durante il campo missionario 2015 nella giornata di venerdì, a Rosciano. Spesso siamo diffidenti riguardo alle persone che solcano disperatamente il Mediterraneo per cercare una vita migliore in Europa. Si, in Europa. E non in Italia come molti credono. L’Italia è solo una tappa di quello che è il loro viaggio della speranza. In Italia ci rimangono perché costretti, altrimenti se ne andrebbero in giro per l’Europa: Francia, Svezia, Germania… .
La giornata passata con i nostri amici africani non è stata una giornata qualunque. Le loro storie, le loro vite, il loro viaggio sono esperienze che non possiamo neanche immaginare. Storie tanto toccanti emotivamente quanto tristi, teatro di una vita passata a fuggire o a tentare di renderla migliore. E’ questo il caso di uno di loro, Francis, che all’età di appena 16 anni, insieme con il fratello, è stato costretto ad abbandonare la propria famiglia per cercare un lavoro che riuscisse a mantenere le cure per la madre malata. Il suo viaggio è iniziato 6 anni fa, cercando di conciliare la sua passione, il calcio, e la necessità di aiutare la sua famiglia. Adesso Francis ha 22 anni ed è ospitato in una struttura a Belgatto. E’ arrivato in Italia quasi per caso, imbarcandosi in Libia su una nave la cui destinazione era per lui ignota. E nell’attesa che la giustizia italiana faccia il suo lavoro coltiva il sogno di iniziare una carriera professionistica come calciatore in Francia. La sua testimonianza, insieme a quella di tutti gli altri, è stato un momento veramente commovente durante la giornata, lasciando un segno profondo nel cuore di tutti i ragazzi. Sono ragazzi che non hanno niente, se non la fede. Io ho avuto la fortuna di pregare con loro prima del pranzo e, pur non capendo la lingua, mi sono sentito parte di un tutto più grande, e le distinzioni erano scomparse, facendoci emergere per quello che siamo: fratelli. Francis, Frank, Louis, Mike e tutti gli altri sono ragazzi che hanno rischiato la vita per averne una migliore, e, non hanno niente, rispetto a tutti noi. Ma di fronte alle loro storie, alle loro esperienze e alle loro vite, forse bisogna fare un atto di umiltà e, incontrandoli, al posto di essere diffidenti, abbracciarli dicendo: “Caspita, hai proprio un bel coraggio!”
di Marco Vitali