Nicola, volontario Urukundo in Burundi, scrive la nostra ventottesima “Lettera dalla missione”.
Cari ragazzi/ragazze,
Quest’oggi ho deciso di scrivervi dal collegio che ospita la nostra cara famiglia pigmea.
Come vi dicevo già in un’altra lettera il pomeriggio, al collegio suddividiamo il sostegno scolastico in due parti, o bene in due classi di età. Chiamiamo sostegno autodidattico il sostegno che facciamo con i liceali, ovvero gli studenti più grandi. Quindi con loro, io rimango in classe e intervengo solo se hanno delle difficoltà. Invece con i ragazzi più piccoli facciamo ogni sera il corso di approfondimento che inizia alle sei e mezza fino alle otto. Ci dividiamo le materie e quindi insegniamo singolarmente in giorni diversi. Io insegno il lunedì, il mercoledì e il giovedì sera. Gli altri giorni mi trovo molto spesso con i liceali tanto in classe quanto fuori. Li amo veramente tanto, e a poco a poco sto creando delle belle e sincere amicizie. Sono molto spontanei e sinceri nella loro gioia. E’ per questa ragione che li amo, poiché non possono non sorridere alla vita. Ci ritroviamo a parlare di tutto, e siamo gioiosi nel nostro non avere niente al di fuori delle nostre parole, e delle nostre risate condivise. Essi mi recano una grande felicità, e ancora una volta mi fanno capire quanto sono fortunato di essere qui in Burundi. Sinceramente quando raramente mi succede di non esserci durante la settimana, in una certa maniera mi piange il cuore perché so che mi aspettano come io aspetto loro. Per vero mi ritrovo quest’oggi a scrivere, perché sento la necessità di sfogarmi un po’ nei confronti del lavoro che faccio con i più piccoli del collegio. Ho trovato svariate volte un gran difficoltà a collaborare con gli studenti a cui faccio il corso di approfondimento. Sono svogliati, a volte insolenti e soprattutto mancano di rispetto. Mi è successo più di una volta di farli uscire dalla classe per rimandarli al dormitorio. Me ne fanno di tutti i colori, mi arrivano con i quaderni di Kirundi quando sanno bene che con me fanno francese. O bene arrivano in classe mezzi addormentati, e quindi iniziano a sonnecchiare davanti ai miei occhi. Ogni volta mi dico come sia possibile che non capiscano che io sia in classe per loro, per aiutarli, per il loro bene. Come mi piace dire sono qua per aiutarli a aiutarsi da soli. Penso che sia questo il concetto d’insegnante, e di insegnamento. Siamo qui per sollecitare i ragazzi a riuscire ad aiutarsi da soli, e non per introdurre il nostro pensiero nella loro testa in modo tale che essi cessino di pensare, poiché ci siamo già noi che pensiamo per loro. No, io non penso affatto che questo sia il valore dell’educazione. Penso che in questo caso si tratterebbe più di oppressione che di educazione. Si tratterebbe di una sorta di regressione dei pensieri. Tanto i pensieri dei cosiddetti professori quanto quelli degli studenti. Fra l’altro ritengo che il dramma della scuola italiana riposi proprio in questa sorta di ribaltamento di valori educativi. Al posto di lasciare i ragazzi, le persone libere di imparare a pensare a loro modo, noi siamo sempre trasportati dall’arroganza di dovergli insegnare a pensare. Ma a pensare come? A pensare nel nostro unilaterale modo, o bene nel loro? In realtà non ci lasciano mai liberi di pensare, in nessuna sorta di istituzione pseudo educativa. Penso che la casa per eccellenza del Non-Pensiero sia propria l’università, che personalmente non ho mai capito e che probabilmente mai capirò. Ci vogliono sempre schiavi di qualcuno o di qualcosa. O bene di pensieri fissi imposti da qualcuno o di nuovo da qualcosa. Come ripeteva Nietzsche:
””Se lo stato vuole creare un popolo di schiavi, non può di sicuro educarli come se fossero dei padroni”.
Ecco secondo me ci ritroviamo, chi più chi meno, come incatenati in questa sorta di prigione implicita che non si vede con gli occhi ma che si può sentire in tante sfumature della nostra vita, e che comunque vada attanaglia il nostre essere liberi e veri. Ci ritroviamo sempre a dover mentire, a dipingerci per ciò che non siamo, poiché è proprio la società che lo esige. È proprio quest’ultima che ci vuole come delle inerti macchine consumatrice. E quindi dove abbiamo lasciato la nostra libertà di essere? La nostra libertà di non essere d’accordo con ciò che ci circonda? Il nostro coraggio che ci porta a dire No a cose amate e osannate da tutti? Ci stanno togliendo la nostra capacità di espressione libera. Ci hanno fatto diventare come delle merci, che si possono comodamente vendere e comprare. Ormai abbiamo l’arroganza di pensare che possiamo comprare tutto. Anche i cuori e le emozioni. Si in televisione, ci sono un oceano di canali, di trasmissioni nate per vendere i sentimenti della gente. Per vendere delle emozioni finte e ipocrite che fanno commuovere la gente, come se tutto fosse reale. Allora che è tutto il contrario di tutto. Per vero usando l’artificioso pretesto di far commuovere la gente, in realtà si prendono gioco di noi come se fossimo delle fatue marionette ambulanti. Dico tutto questo, perché penso che L’istituzione Educativa dovrebbe combattere con fervore tutta questa chiusura mentale ipocrisia dei costumi. Invece trovo che essi siano i principali co-partecipi dell’attuale perdizione dei valori. Sono essi, che in prima istanza insegnano l’opportunismo e la rincorsa alla vittoria individuale. Sono essi in primo luogo che insegnano l’autorità al posto di condividere la libertà. Sono essi che in prima istanza, insegnano il loro pensiero unico e supremo al posto di condividere l’apertura all’Altro, e quindi con tutto il suo vissuto particolare e speciale nella sua tanto meravigliosa quanto irripetibile unicità. Spesso ci dimentichiamo che quando diciamo:
”Io penso questo… Riguardo a questo soggetto io la penso in questo modo..” allo stesso tempo introduciamo innegabilmente la presenza dell’Altro. Dire che Io Penso, significa che esiste allo stesso tempo un’Alterità che pensa tanto quanto noi. Che ha il diritto di esistere tanto quanto noi. Un’Alterità grazie alla quale ci siamo conosciuti. Un Altro che in una certa maniera ci ha dato la vita, poiché l’Essere ha bisogno di un altro Essere per riconoscersi in quanto creatura vivente, per accettarsi come creatura pensante. Purtroppo l’Uomo si scorda molto spesso quanto l’Altro sia consustanziale alla sua esistenza. Probabilmente la stessa scomparsa del Pensiero Critico e al contempo Tollerante nei riguardi della Diversità, ha segnato la stessa fatale scomparsa dell’incontro con l’Altro. Incontro che diviene sempre di più uno scontro tanto con l’Alterità che con noi stessi. L’annullamento di questo essenziale incontro con l’Alterità sottende lo sbriciolamento di quel cruciale incontro con se stessi. Io mi chiedo spesso dove arriveremo. Fin dove l’uomo moderno ha il desiderio di spingere la sua vanità d’essere, o più precisamente la sua vanità di apparire. Di mentire. Constato io stesso che sono partito per descrivervi il mio lavoro di sostegno con i più piccoli, per poi trattare il tema dell’Educazione. Soggetto che mi sta molto a cuore. Ciò che voglio dire per concludere questo pensiero sull’Educazione è che ho un po’ paura per l’uomo, e quindi per me stesso in primis poiché non vedo veramente una fine alla nostra caduta morale. È per questo che cominciando a scrivere, sono stato perdutamente catturato dall’idea di esprimere il mio dissenso nei confronti dell’Istituzione Scuola. Sostanzialmente ciò che John Dewey esprimeva a cuore aperto in questi termini:
”In realtà non è la società che guida o bene sceglie l’Educazione, ma per vero succede perfettamente il contrario. La società è il modello, è il riflesso di ciò che l’Educazione ha fatto nei suoi confronti. È quest’ultima che forma, compone e colora l’Io sociale”.
Ci tenevo a condividere tutto questo, proprio perché credo con ardore che la scuola può e dovrebbe rivoluzionare le menti, e non bloccarle né lobotomizzarle.
Detto questo ritorno ai piccoli ragazzi del collegio. Proverò a collaborare con loro in un’altra maniera, dal momento che se loro sembrano non volermi venire incontro, bisogna assolutamente che io vada incontro a loro, per fargli finalmente comprendere quanto sia bello imparare a imparare. Siamo qui per arricchirci vicendevolmente, e di sicuro le difficoltà possono farci a poco a poco capire quanto la vita sia bella.
Si dopo tutto, la vita è un’opera miracolosa.
Viviamolo a fondo poiché ne vale la pena, poiché avere rimpianti significa non aver avuto il coraggio di provare, non avere avuto il coraggio di sperimentare e sperimentarsi.
Conosciamoci a fondo in modo tale di poter accettare l’amore che l’Altro è nato per donare, per donarci.
Vedo il mondo come un immenso e puro specchio interiore dove tutti hanno la possibilità di guardarsi sinceramente a fondo con e grazie all’Alterità, e soprattutto dove ciascuno di noi può trovare sfumature e contorni desueti di se stesso ovunque andrà. Ovunque andremo, ovunque cammineremo avremo sempre la possibilità di scoprirci e riscoprirci. Avremo sempre la possibilità di trovarci nella nostra irripetibile bellezza.
Buon cammino a voi tutti verso l’incontro tanto proteiforme quanto incantevole con voi stessi.
Nicola
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