Ricordare la vocazione e la missione di ogni cristiano e delle comunità di fede – P. Roberto Minora

Padre Roberto Minora, missionario comboniano, ci scrive da Balsas, in Brasile. La sua è la trentesima lettera della nostra rubrica!

Carissimi/e un saluto da Balsas.
Spero stiate tutti in forma. Io sto bene e la quaresima mi aiuta a rallentare il ritmo e così approfitto per riposare meglio e dedicare un po’ più di tempo a me stesso…Vi aggiorno con le ultime notizie.
Dezembro de PazIn febbraio abbiamo avuto l’ssemblea parrocchiale con la partecipazione di 55 persone rappresentando 16 comunità. E’ stata fatta la verifica dell’anno pastorale scorso e insieme è stato preparato il nuovo anno dedicato alla cultura di pace e il cammino quaresimale. Con il tema “Fraternità: Chiesa e società” e lo slogan “Sono venuto per servire” (Mc 10, 45), la Campagna di Fraternità intende ricordare la vocazione e la missione di ogni cristiano e delle comunità di fede, caratterizzate dal dialogo, e la collaborazione tra Chiesa e società, indicata 50 anni fa dal Concilio Vaticano II. 280px-Maranhao_Municip_Balsas.svg
Nonostante la tradizione profetica della Chiesa, anche qui è sempre più difficile trovare persone – soprattutto giovani- capaci di assumere un impegno nel campo sociale. Una spiritualità chiusa in se stessa e il clima di violenza crescente non aiutano. Così la pastorale carceraria, ambientale e tutte le altre pastorali sociali soffrono con il numero ridotto di leaders.
Allego il bellissimo inno motivatore cantato  fino a Pasqua in tutte le comunità brasiliane. Oltre alle iniziative ordinarie, proponiamo nel corso dell’anno: organizzare una scuola musicale per adolescenti e una scuola per nuovi coordinatori di pastorale, pianificare la festa del raccolto e la benedizione degli animali, celebrare il giorno del catechista e la giornata della gioventù. Iniziare la costruzione della chiesa di San Paolo Apostolo e continuare la ricostruzione di San Francesco, crollata un anno fa. Ciascuna iniziativa ha un gruppo coordinatore e con l’aiuto di tutti, speriamo di crescere nel servizio, soprattutto ai piccoli e poveri.

Un abbraccione.
Roberto

 

Inno motivatore: Inno Fraternità 2015


HINO CF 2015

Tema: Fraternidade: Igreja e sociedade
Lema: Eu vim para servir (cf. Mc 10,45)
L.: Pe. José Antônio de Oliveira
M.: Pe. José Weber

01 – Em meio às angústias, vitórias e lidas,
No palco do mundo, onde a história se faz,
Sonhei uma Igreja a serviço da vida.
Eu fiz do meu povo os atores da paz! (2x)

Quero uma Igreja solidária,

Servidora e missionária,

Que anuncia e saiba ouvir.

A lutar por dignidade,

Por justiça e igualdade,

Pois “Eu vim para servir”.

02 – Os grandes oprimem, exploram o povo,
Mas entre vocês bem diverso há de ser.
Quem quer ser o grande se faça de servo:
Deus ama o pequeno e despreza o poder. (2x)

03 – Preciso de gente que cure feridas,
Que saiba escutar, acolher, visitar.
Eu quero uma Igreja em constante saída,
De portas abertas, sem medo de amar! (2x)

04 – O meu mandamento é antigo e tão novo:
Amar e servir como faço a vocês.
Sou mestre que escuta e cuida seu povo,
Um Deus que se inclina e que lava seus pés. (2x)

05 – As chagas do ódio e da intolerância
Se curam com o óleo do amor-compaixão.
Na luz do Evangelho, acende a esperança.
Vem! Calça as sandálias, assume a missão! (2x)

 

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Un Bianco, come dicono loro, che cammina a piedi è quasi uno scandalo – Nicola Canestrari

Ventinovesima “Lettera dalla missione”. Dopo una lunga assenza ci scrive Nicola, volontario Urukundo in Burundi.

Cari ragazzi/ragazze, come state?

È da un pochino che non vi scrivo, e me ne dispiaccio alquanto.

Questi ultimi due mesi, sono stati mesi molto particolari.

È quasi sette mesi che sono qua, e inizio sempre di più a percepire e a comprendere meccanismi che mi affascinano, ma che al contempo mi fanno molto riflettere e a volte anche soffrire.

Burundi-circled4Ci sono dei tratti culturali che non riuscirò mai comprendere, e a cui non riuscirò mai a conformarmi poiché non li riconosco come veri e sinceri.

Non ho voglia di fingere.

Non né ho più voglia. Mi basta già di vivere in una società che basa tutto sull’apparenza, e sappiate che secondo me qui in Burundi la situazione non è molto differente.

D’altronde qua Tutto è molto veicolato dall’apparenza. Per esempio se dai un bel vestito a un Africano, l’Africano diviene subito una persona prestigiosa agli occhi degli altri. Ma al contempo se subito dopo glielo togli quel artificiale e artificioso bel vestito, l’Africano ritorna ad essere un nulla, a non essere nessuno agli occhi dell’Io Sociale.

È spaventoso quanto la colonizzazione che molti pensano finita, in realtà non è mai terminata e continua tutt’ora.

Tutto è filtrato dall’esteriore.

D’altronde il mio prestigio proviene dalla mia pelle bianca, non dal mio cuore né dai miei pensieri.

È da diversi mesi che ho cominciato a camminare a piedi, e ogni volta che un Burundese mi vede camminare, è come se fosse turbato poiché un Bianco, come dicono loro, che cammina a piedi è quasi uno scandalo.

Il Bianco che ha inventato macchine e aeroplani, adesso cammina a piedi.

Per loro è inconcepibile.

Probabilmente preferirebbero che andassi a scuola in elicottero, poiché ciò sarebbe più conforme al prestigio del mio colore della pelle.

Prestigio che mi ripugna e mi disgusta.

Prestigio che mi reca una sorta di nausea esistenziale, simile alla dissimulazione tanto reiterata quanto recidiva che i presidenti esprimono nei confronti dei loro popoli, o bene quella stessa permanente bugia che le potenze occidentali condividono con il dominato e schiavo continente africano.

Quando apriremo finalmente i nostri occhi?

Ho paura per l’uomo, ho paura riguardo alla direzione che abbiamo preso.

Ritornando al mio pensiero, dicevo che ho cominciato a camminare.

Camminare mi permette di riposarmi, e di riflettere.

Camminare mi libera, e mi rasserena.

Non riuscirei mai a rinunciare alle mie passeggiate mattutine e pomeridiane.

Perché rinunciare a fare qualcosa che ci fa stare bene?

Specialmente se questo bene, è un bene puro e innocuo che non fa assolutamente male a nessuno.

Non rinuncerò mai a essere me stesso, a condividermi con gli altri tale sono e Mai e poi Mai come lo sguardo sociale vorrebbe che io fossi.

Rifiutarmi significherebbe, rifiutare la vita.

Perché dovrei rifiutare un’opera così miracolosa e misteriosa?

Ho voglia di leggerla, di viverla e di abbracciarla con tutto me stesso.

Ho voglia di assaporarla fino all’ultima goccia.

La vita è un infinito viaggio di condivisione, e se smettessi di conoscermi come potrei condividere?

Che cosa condividerei?

Non prendete nel verso sbagliato questo mio piccolo sfogo.

Amo alla follia ciò che sto facendo qui, ciò che stiamo facendo insieme, e al contempo le persone che mi circondano.

Mi sento bene qui, tranquillo e oserei dire che tendo verso la serenità, ma allo stesso tempo non posso impedire ai miei occhi di vedere e di riflettere su certi aspetti che mi fanno male.

Che mi fanno soffrire.

In fin dei conti che cos’è la Vita, se non che una perpetua altalena di gioie e di sofferenze?

Detto questo, ultimamente ho conosciuto altri missionari italiani che vivono e lavorano qua in Burundi.

È quasi tre mesi pieni che condividiamo tante esperienze e tante situazioni insieme._DSC0456

Ne sono così gioioso poiché considero essenziale, in questo tipo di realtà che ti penetra dentro prendendoti tutto, la presenza di altri bianchi con i quali possa condividere gioie e sofferenze.

Gioie e sofferenze, che loro possono comprendere subito poiché essi in primis le provano sulla loro pelle giorno dopo giorno.

L’incontro, che sovente diviene uno scontro inevitabile, culturale è un viaggio complesso e al contempo mai veramente finito.

Non avrei mai immaginato di essere così sollevato, condividendo del tempo con altri Bianchi.

Mi fa sorridere che io stesso inizio, come loro, a parlare di bianchi e di neri.

Come se tutto fosse filtrato dal colore della pelle.

D’altronde è veritiero il fatto che la conoscenza e l’incontro con altri bianchi come me, mi ha molto rasserenato e aiutato.

Non mi sarei mai immaginato che l’Africa potesse divenire un viaggio così duro e complesso.

Al contempo un viaggio così fascinoso e meraviglioso.

Viaggio che non ho mai percepito prima, e che in una certa maniera avevo sempre sognato.

È per questa ragione che ci tengo a dire ad alta voce, che in questo preciso momento della mia vita non vorrei assolutamente essere in un’altra terra.

È qui in Burundi, che voglio essere ed è qui in Burundi che effettivamente sono.

Sono felice, poiché tutto ciò che mi circonda mi avvolge enormemente e mi dà tanta forza.

Questa realtà mi dà tanta voglia di vivere, e di esplorare la vita.

In più volevo condividere con voi, il fatto che il mio migliore amico vorrebbe raggiungermi qui in Burundi nel mese di Aprile, ovvero dal 30 di Marzo al 30 di Aprile, per stare qui con me e con i nostri cari amici appunto un mese intero.

Si chiama Michele, e studia Fotografia da due anni all’Accademia privata di Firenze.

In realtà io gli ho così tanto parlato della realtà Pigmea, che lui vorrebbe venire qui per portare avanti un progetto fotografico appunto su di loro.

Penso che sia un’idea profondamente favolosa, poiché un progetto fotografico preciso sui Pigmei potrebbe essere una grande opera di sensibilizzazione collettiva, e dunque potrebbe amplificare gli orizzonti dell’Associazione Urukundo e al contempo quelli della congregazione.

A Michele piacerebbe comparare le due principali realtà Pigmee del Burundi, ovvero la realtà del collegio composta da ragazzi istruiti o bene che tendono verso l’istruzione, e quella dei villaggi che per tanti tratti è ancora una realtà tribale ma al contempo profondamente interessante e pura.

La realtà dei villaggi, la quale predomina poiché come ben sapete la povertà è estrema e d’altronde il collegio non può ospitare che un numero limitato ma già significativo di studenti.

Naturalmente si potrebbero fare delle foto anche su gli altri progetti che l’associazione porta avanti con la congregazione. Una volta tornato in Italia, potrebbe pubblicizzare e divulgare il progetto fotografico proprio tramite l’Associazione.

Pensare di condividere un mese con colui che considero veramente come mio fratello, mi riempie totalmente di gioia.

Sarebbe un sogno ritrovarlo qui in Burundi, a due passi da me.

È da tanto che pensiamo di condividere un viaggio insieme, e mi sembra sempre di più che il nostro momento sia finalmente arrivato.

Che sogno che i miei occhi finalmente intravedono.

Voi che cosa ne pensate?

Vi abbraccio come se fossimo due passi gli uni dagli altri.

Uniti per sempre verso un sorriso condiviso di vita.

Buon cammino.

Nicola

 

Per rimanere in contatto con Nicola:
FB: Nicola Canestrari
EMAIL: leggebavaglio@hotmail.it
SKYPE: wonderfulnothing

 

Per sostenere Nicola (nei vari modi possibili):
FB: Anna Lisa Landini
EMAIL: anna.lisa.landini@hotmail.it
CELL: 3479617296

 

 

Cari ragazzi/ragazze, come state?

È da un pochino che non vi scrivo, e me ne dispiaccio alquanto.

Questi ultimi due mesi, sono stati mesi molto particolari.

È quasi sette mesi che sono qua, e inizio sempre di più a percepire e a comprendere meccanismi che mi affascinano, ma che al contempo mi fanno molto riflettere e a volte anche soffrire.

Ci sono dei tratti culturali che non riuscirò mai comprendere, e a cui non riuscirò mai a conformarmi poiché non li riconosco come veri e sinceri.

Non ho voglia di fingere.

Non né ho più voglia. Mi basta già di vivere in una società che basa tutto sull’apparenza, e sappiate che secondo me qui in Burundi la situazione non è molto differente.

D’altronde qua Tutto è molto veicolato dall’apparenza. Per esempio se dai un bel vestito a un Africano, l’Africano diviene subito una persona prestigiosa agli occhi degli altri. Ma al contempo se subito dopo glielo togli quel artificiale e artificioso bel vestito, l’Africano ritorna ad essere un nulla, a non essere nessuno agli occhi dell’Io Sociale.

È spaventoso quanto la colonizzazione che molti pensano finita, in realtà non è mai terminata e continua tutt’ora.

Tutto è filtrato dall’esteriore.

D’altronde il mio prestigio proviene dalla mia pelle bianca, non dal mio cuore né dai miei pensieri.

È da diversi mesi che ho cominciato a camminare a piedi, e ogni volta che un Burundese mi vede camminare, è come se fosse turbato poiché un Bianco, come dicono loro, che cammina a piedi è quasi uno scandalo.

Il Bianco che ha inventato macchine e aeroplani, adesso cammina a piedi.

Per loro è inconcepibile.

Probabilmente preferirebbero che andassi a scuola in elicottero, poiché ciò sarebbe più conforme al prestigio del mio colore della pelle.

Prestigio che mi ripugna e mi disgusta.

Prestigio che mi reca una sorta di nausea esistenziale, simile alla dissimulazione tanto reiterata quanto recidiva che i presidenti esprimono nei confronti dei loro popoli, o bene quella stessa permanente bugia che le potenze occidentali condividono con il dominato e schiavo continente africano.

Quando apriremo finalmente i nostri occhi?

Ho paura per l’uomo, ho paura riguardo alla direzione che abbiamo preso.

Ritornando al mio pensiero, dicevo che ho cominciato a camminare.

Camminare mi permette di riposarmi, e di riflettere.

Camminare mi libera, e mi rasserena.

Non riuscirei mai a rinunciare alle mie passeggiate mattutine e pomeridiane.

Perché rinunciare a fare qualcosa che ci fa stare bene?

Specialmente se questo bene, è un bene puro e innocuo che non fa assolutamente male a nessuno.

Non rinuncerò mai a essere me stesso, a condividermi con gli altri tale sono e Mai e poi Mai come lo sguardo sociale vorrebbe che io fossi.

Rifiutarmi significherebbe, rifiutare la vita.

Perché dovrei rifiutare un’opera così miracolosa e misteriosa?

Ho voglia di leggerla, di viverla e di abbracciarla con tutto me stesso.

Ho voglia di assaporarla fino all’ultima goccia.

La vita è un infinito viaggio di condivisione, e se smettessi di conoscermi come potrei condividere?

Che cosa condividerei?

Non prendete nel verso sbagliato questo mio piccolo sfogo.

Amo alla follia ciò che sto facendo qui, ciò che stiamo facendo insieme, e al contempo le persone che mi circondano.

Mi sento bene qui, tranquillo e oserei dire che tendo verso la serenità, ma allo stesso tempo non posso impedire ai miei occhi di vedere e di riflettere su certi aspetti che mi fanno male.

Che mi fanno soffrire.

In fin dei conti che cos’è la Vita, se non che una perpetua altalena di gioie e di sofferenze?

Detto questo, ultimamente ho conosciuto altri missionari italiani che vivono e lavorano qua in Burundi.

È quasi tre mesi pieni che condividiamo tante esperienze e tante situazioni insieme.

Ne sono così gioioso poiché considero essenziale, in questo tipo di realtà che ti penetra dentro prendendoti tutto, la presenza di altri bianchi con i quali possa condividere gioie e sofferenze.

Gioie e sofferenze, che loro possono comprendere subito poiché essi in primis le provano sulla loro pelle giorno dopo giorno.

L’incontro, che sovente diviene uno scontro inevitabile, culturale è un viaggio complesso e al contempo mai veramente finito.

Non avrei mai immaginato di essere così sollevato, condividendo del tempo con altri Bianchi.

Mi fa sorridere che io stesso inizio, come loro, a parlare di bianchi e di neri.

Come se tutto fosse filtrato dal colore della pelle.

D’altronde è veritiero il fatto che la conoscenza e l’incontro con altri bianchi come me, mi ha molto rasserenato e aiutato.

Non mi sarei mai immaginato che l’Africa potesse divenire un viaggio così duro e complesso.

Al contempo un viaggio così fascinoso e meraviglioso.

Viaggio che non ho mai percepito prima, e che in una certa maniera avevo sempre sognato.

È per questa ragione che ci tengo a dire ad alta voce, che in questo preciso momento della mia vita non vorrei assolutamente essere in un’altra terra.

È qui in Burundi, che voglio essere ed è qui in Burundi che effettivamente sono.

Sono felice, poiché tutto ciò che mi circonda mi avvolge enormemente e mi dà tanta forza.

Questa realtà mi dà tanta voglia di vivere, e di esplorare la vita.

In più volevo condividere con voi, il fatto che il mio migliore amico vorrebbe raggiungermi qui in Burundi nel mese di Aprile, ovvero dal 30 di Marzo al 30 di Aprile, per stare qui con me e con i nostri cari amici appunto un mese intero.

Si chiama Michele, e studia Fotografia da due anni all’Accademia privata di Firenze.

In realtà io gli ho così tanto parlato della realtà Pigmea, che lui vorrebbe venire qui per portare avanti un progetto fotografico appunto su di loro.

Penso che sia un’idea profondamente favolosa, poiché un progetto fotografico preciso sui Pigmei potrebbe essere una grande opera di sensibilizzazione collettiva, e dunque potrebbe amplificare gli orizzonti dell’Associazione Urukundo e al contempo quelli della congregazione.

A Michele piacerebbe comparare le due principali realtà Pigmee del Burundi, ovvero la realtà del collegio composta da ragazzi istruiti o bene che tendono verso l’istruzione, e quella dei villaggi che per tanti tratti è ancora una realtà tribale ma al contempo profondamente interessante e pura.

La realtà dei villaggi, la quale predomina poiché come ben sapete la povertà è estrema e d’altronde il collegio non può ospitare che un numero limitato ma già significativo di studenti.

Naturalmente si potrebbero fare delle foto anche su gli altri progetti che l’associazione porta avanti con la congregazione. Una volta tornato in Italia, potrebbe pubblicizzare e divulgare il progetto fotografico proprio tramite l’Associazione.

Pensare di condividere un mese con colui che considero veramente come mio fratello, mi riempie totalmente di gioia.

Sarebbe un sogno ritrovarlo qui in Burundi, a due passi da me.

È da tanto che pensiamo di condividere un viaggio insieme, e mi sembra sempre di più che il nostro momento sia finalmente arrivato.

Che sogno che i miei occhi finalmente intravedono.

Voi che cosa ne pensate?

Vi abbraccio come se fossimo due passi gli uni dagli altri.

Uniti per sempre verso un sorriso condiviso di vita.

Buon cammino.

Nicola

Per rimanere in contatto con Nicola:
FB: Nicola Canestrari
EMAIL: leggebavaglio@hotmail.it
SKYPE: wonderfulnothing

Per sostenere Nicola (nei vari modi possibili):
FB: Anna Lisa Landini
EMAIL: anna.lisa.landini@hotmail.it
CELL: 3479617296

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Auguri missionari!

Gli auguri che i tanti missionari che conosciamo, sparsi per il mondo, ci fanno!

 

Il mio 80° compleanno                                    Addis Abeba, 28 ottobre 2014

 

“La soglia degli 80 è un dono grande di Dio e mi unisco a te per rendere grazie a Lui. Una preghiera e una memoria anche per il nostro Istituto per il dono di averti e per la tua testimonianza. Coraggio e avanti nel Signore! Fraternamente, padre Stefano Camerlengo” è l’augurio del Superiore Generale dei Missionari della Consolata ai quali appartengo dal 1958.

Col pranzo in famiglia mi hanno festeggiato gioiosamente i miei confratelli di Addis Abeba e alla sera i parrocchiani mi hanno sorpreso con uno spettacolo teatrale nel salone sottostante la Chiesa. Il tema biblico è stato: “LA PIETRA SCARTATA DAI COSTRUTTORI E’ DIVENUTA TESTATA D’ANGOLO” come leggiamo nel salmo 118, versetto 22 e nel vangelo di Matteo, capitolo 21, versetto 42. Ovviamente si riferisce a Gesù Cristo ma mi piace estenderlo in senso lato anche ai suoi Profeti, ai suoi Martiri, ai suoi Apostoli e discepoli e, perché no?, alla storia della mia vita che mi ha portato molto lontano. Le difficoltà, le dure lotte, gli ostacoli della mia vita li ho sempre affrontati non come problemi ma come opportunità per crescere verso il meglio, per formare un carattere forte, deciso a riuscire in tutto ma solo col potere dello Spirito Santo che accompagna chi si impegna a seguire Gesù Cristo.

In parallelo abbiamo ricordato SOLOMON FISSEHA come esempio massimo di ricupero ottenuto in questi miei 31 anni di missione in Etiopia. Rimasto piccolo di statura, gracile e malformato avendo reagito male alle vaccinazioni, Salomone fu abbandonato dai genitori all’età di tre anni alla nostra clinica di Gighessa, la mia prima missione dopo 21 anni di America. Secondo i medici non poteva vivere a lungo. Sentendosi però amato e curato con tanto affetto e tenerezza dalle Suore Orsoline, dai nostri missionari, fisioterapisti e volontari italiani cominciò a vivere una fanciullezza quasi normale assieme agli altri pazienti iniziando anche a frequentare la scuola della missione con ottimi risultati. Intanto io fui trasferito nella vicina missione di Gambo a dirigere la scuola e la fattoria per sei anni. Dopo una breve esperienza pastorale di un anno a Shashamane fui destinato definitivamente alla CITTA’ DEI RAGAZZI di Asella per orfani e disabili. Qui mi resi conto che tutte le tappe precedenti della mia vita puntavano verso questo incarico importantissimo.

Nel frattempo anche Solomon si era trasferito qui per continuare i suoi studi accademici fino alla dodicesima classe. Qui incoraggiavo tutti ad occupare il tempo libero in arti e mestieri ed è qui che Solomon, costretto a muoversi in carrozzella con la forza delle sue mani e braccia, si è dimostrato un genio di pittore, musicista e compositore di grande successo fino a mettersi in proprio con l’aiuto della Cooperazione Italiana costruendosi un piccolo centro a pochi passi dalla missione. Coi risparmi della vendita delle sue pitture aprì addirittura anche uno studio di registrazioni musicali con tutta l’attrezzatura professionale per favorire i cantanti di provincia. La TV lo ha presentato diverse volte a tutta la nazione come modello di intraprendenza da contrapporre ai mendicanti e fannulloni che sono soltanto un peso per la società.

Arrivato il tempo di consegnare tutte le opere e strutture di Asella al Vescovo locale fui trasferito alla nostra sede nazionale di Addis Abeba per dedicarmi ai progetti e dirigere la casa. Il destino ha voluto che anche Solomon, insieme alla sua mamma si trasferisse vicino a noi per partecipare alle funzioni della Chiesa e contribuire al miglioramento della mia scuola di pittura stimolando anche gli altri allievi ad imitarlo. Sta già elevando il livello artistico della mostra permanente annessa alla scuola che un giorno potrebbe diventare galleria d’arte.

Vi sono grato per le vostre e-mail molto incoraggianti. Mi limito a citarne due che compendiano tutte le altre che mi spingono a non mollare. La prima è di Maria da Sarzana che dice: “Sono felice di sapere che la sua salute è migliorata e le auguro di cuore che il Buon Dio le dia sempre più forza perché tutto il lavoro che fa è impareggiabile. Mi fa piacere sentire che il mio adottato ha finito gli studi e trovato un lavoro mentre io sono in difficoltà”. “Spero che tu stia bene, perché la tua opera in Africa è preziosa come l’acqua e come l’aria”-mi scrive Claudio, uno dei tanti volontari venuti a darmi una mano dalla mia Diocesi di Fano e continua a mandarmi ogni mese 50 euro per i miei progetti. Giustamente, come tanti di voi, aspetta conferma da me che mi arrivano.

Mi accorgo che sto trascurando perfino di rispondere alle vostre e-mail essendo continuamente interrotto dalle necessità materiali e spirituali dei poveri, dei ragazzi e ragazze di strada, tossicodipendenti e prostitute che stanno facendo con me un CAMMINO DI CONVERSIONE CON L’AIUTO DELLA PAROLA DI DIO, I SACRAMENTI, L’APPOGGIO DELLA COMUNITA’ E TANTA PREGHIERA ALTERNATA ALLO STUDIO E LAVORO IMPEGNATIVO IN ARTI E MESTIERI PER RENDERLI AUTOSUFFICIENTI. Il martedì sera ci incontriamo per la liturgia biblica e il giovedì sera, per chi vuole, abbiamo un’ora di adorazione per le vocazioni mentre l’evento settimanale più coinvolgente per tutta la comunità si realizza con la celebrazione della Santa Messa prefestiva che cambia la “FEBBRE” del sabato sera in FERVORE del sabato sera… E’ dura ma i buoni risultati sono già evidenti. Uno dei miei pittori al quale era stata prospettata una borsa di studio per due anni di scuola d’arte a Firenze, a metà settembre mi ha sorpreso con questo SMS: “Carissimo Abba Renato. Sono stato accettato nel Seminario Diocesano di Meki. Vorrei diventare come te. So che è impossibile ma ci proverò”. Un secondo membro del Cammino Neocatecumenale, alla fine della nostra ultima CONVIVENZA di due giorni e due notti trascorse nella nostra casa per Ritiri Spirituali a Modjo, ha espresso in pubblico di voler migliorare la propria vita spirituale e gli studi per qualificarsi ad essere accettato in Seminario.

Nella catechesi cerco di convincere tutti a mettere Dio al primo posto, sbarazzandoci del passato col sacramento della riconciliazione e ricominciando insieme una vita nuova alla sequela di Gesù Cristo, ripieni dei doni e della potenza dello Spirito Santo. “A Dio nulla è impossibile – dico loro –

perciò mettiamo da una parte della bilancia “I NOSTRI PROBLEMI” e dall’altra “LE PROMESSE DI DIO che troviamo nella BIBBIA”: la disperazione si cambia in speranza, la depressione in gioia piena, la sconfitta in vittoria, l’inferno in paradiso. A NOI LA SCELTA.

 

Ho davanti a me il tavolo pieno di foto di ragazze madri col neonato in braccio, bambini bisognosi di essere adottati a distanza per soddisfare alle richieste di tanti di voi che avete concluso con successo lo scopo precedente. Continuo anche ad offrire a molti l’alternativa di aiutare i nostri progetti che favoriscono la crescita di tutta la popolazione a noi affidata più che di un individuo.

Anche quest’anno offro come in passato le 30 Sante Messe di Novembre per i vostri cari defunti.

 

BUON NATALE 2014.

 

e-mail abbarenato@hotmail.com              Padre Renato Saudelli

oppure renatosaudelli@gmail.com            P.O.Box 5535

                                                            ADDIS ABEBA – ETIOPIA

Cari amici tutti del CMD, con ritardo, però con gli stessi sentimenti di speranza e di rinnovato entusiasmo che ci da la nascita di Gesù, auguro a tutti voi ad essere seminatori di pace, amore, fraternità e gioia in ogni parte e ambiente dove vi trovate, in questo mondo che tanto ne ha bisogno. In modo speciale voglio dare un saluto ai partecipanti del ritiro e rallegrarmi con loro, perché mentre i loro coetanei “impazziscono” in questi giorni di feste, hanno preso la determinazione di passare tre giorni ritirandosi nella riflessione e nella preghiera.

Siete proprio bravi! Vi ricordo una frase di Papa Francesco che mi è piaciuta molto, disse alla vigilia di Natale: “Cerchiamo di vivere questo Natale in coerenza con il Vangelo, mettendo a Gesù al centro del nostro cuore”. Sì, perché se Gesù è al centro, tutto il resto diventa secondario, troveremo il vero senso della nostra vita, sarà piena e non avremo difficoltà a donarla per gli altri, come Gesù. Tanti auguri, ragazzi!

Padre Claudio Brualdi

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Don Sandro Faedi

Padre Angelo BaruffiPadre Angelo Baruffi-page-001

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L’arroganza di pensare che possiamo comprare tutto. Anche i cuori e le emozioni – Nicola Canestrari

Nicola, volontario Urukundo in Burundi, scrive la nostra ventottesima “Lettera dalla missione”.

Cari ragazzi/ragazze,

Quest’oggi ho deciso di scrivervi dal collegio che ospita la nostra cara famiglia pigmea.

Come vi dicevo già in un’altra lettera il pomeriggio, al collegio suddividiamo il sostegno scolastico in due parti, o bene in due classi di età. Chiamiamo sostegno autodidattico il sostegno che facciamo con i liceali, ovvero gli studenti più grandi. Quindi con loro, io rimango in classe e intervengo solo se hanno delle difficoltà. Invece con i ragazzi più piccoli facciamo ogni sera il corso di approfondimento che inizia alle sei e mezza fino alle otto. Ci dividiamo le materie e quindi insegniamo singolarmente in giorni diversi. Io insegno il lunedì, il mercoledì e il giovedì sera. Gli altri giorni mi trovo molto spesso con i liceali tanto in classe quanto fuori. Li amo veramente tanto, e a poco a poco sto creando delle belle e sincere amicizie. Sono molto spontanei e sinceri nella loro gioia. E’ per questa ragione che li amo, poiché non possono non sorridere alla vita. Ci ritroviamo a p_DSC0456arlare di tutto, e siamo gioiosi nel nostro non avere niente al di fuori delle nostre parole, e delle nostre risate condivise. Essi mi recano una grande felicità, e ancora una volta mi fanno capire quanto sono fortunato di essere qui in Burundi. Sinceramente quando raramente mi succede di non esserci durante la settimana, in una certa maniera mi piange il cuore perché so che mi aspettano come io aspetto loro. Per vero mi ritrovo quest’oggi a scrivere, perché sento la necessità di sfogarmi un po’ nei confronti del lavoro che faccio con i più piccoli del collegio. Ho trovato svariate volte un gran difficoltà a collaborare con gli studenti a cui faccio il corso di approfondimento. Sono svogliati, a volte insolenti e soprattutto mancano di rispetto. Mi è successo più di una volta di farli uscire dalla classe per rimandarli al dormitorio. Me ne fanno di tutti i colori, mi arrivano con i quaderni di Kirundi quando sanno bene che con me fanno francese. O bene arrivano in classe mezzi addormentati, e quindi iniziano a sonnecchiare davanti ai miei occhi. Ogni volta mi dico come sia possibile che non capiscano che io sia in classe per loro, per aiutarli, per il loro bene. Come mi piace dire sono qua per aiutarli a aiutarsi da soli. Penso che sia questo il concetto d’insegnante, e di insegnamento. Siamo qui per sollecitare i ragazzi a riuscire ad aiutarsi da soli, e non per introdurre il nostro pensiero nella loro testa in modo tale che essi cessino di pensare, poiché ci siamo già noi che pensiamo per loro. No, io non penso affatto che questo sia il valore dell’educazione. Penso che in questo caso si tratterebbe più di oppressione che di educazione. Si tratterebbe di una sorta di regressione dei pensieri. Tanto i pensieri dei cosiddetti professori quanto quelli degli studenti. Fra l’altro ritengo che il dramma della scuola italiana riposi proprio in questa sorta di ribaltamento di valori educativi. Al posto di lasciare i ragazzi, le persone libere di imparare a pensare a loro modo, noi siamo sempre trasportati dall’arroganza di dovergli insegnare a pensare. Ma a pensare come? A pensare nel nostro unilaterale modo, o bene nel loro? In realtà non ci lasciano mai liberi di pensare, in nessuna sorta di istituzione pseudo educativa. Penso che la casa per eccellenza del Non-Pensiero sia propria l’università, che personalmente non ho mai capito e che probabilmente mai capirò. Ci vogliono sempre schiavi di qualcuno o di qualcosa. O bene di pensieri fissi imposti da qualcuno o di nuovo da qualcosa. Come ripeteva Nietzsche:

””Se lo stato vuole creare un popolo di schiavi, non può di sicuro educarli come se fossero dei padroni”.

Ecco secondo me ci ritroviamo, chi più chi meno, come incatenati in questa sorta di prigione implicita che non si vede con gli occhi ma che si può sentire in tante sfumature della nostra vita, e che comunque vada attanaglia il nostre essere liberi e veri. Ci ritroviamo sempre a dover mentire, a dipingerci per ciò che non siamo, poiché è proprio la società che lo esige. È proprio quest’ultima che ci vuole come delle inerti macchine consumatrice. E quindi dove abbiamo lasciato la nostra libertà di essere? La nostra libertà di non essere d’accordo con ciò che ci circonda? Il nostro coraggio che ci porta a dire No a cose amate e osannate da tutti? Ci stanno togliendo la nostra capacità di espressione libera. Ci hanno fatto diventare come delle merci, che si possono comodamente vendere e comprare. Ormai abbiamo l’arroganza di pensare che possiamo comprare tutto. Anche i cuori e le emozioni. Si in televisione, ci sono un oceano di canali, di trasmissioni nate per vendere i sentimenti della gente. Per vendere delle emozioni finte e ipocrite che fanno commuovere la gente, come se tutto fosse reale. Allora che è tutto il contrario di tutto. Per vero usando l’artificioso pretesto di far commuovere la gente, in realtà si prendono gioco di noi come se fossimo delle fatue marionette ambulanti. Dico tutto questo, perché penso che L’istituzione Educativa dovrebbe combattere con fervore tutta questa chiusura mentale ipocrisia dei costumi. Invece trovo che essi siano i principali co-partecipi dell’attuale perdizione dei valori. Sono essi, che in prima istanza insegnano l’opportunismo e la rincorsa alla vittoria individuale. Sono essi in primo luogo che insegnano l’autorità al posto di condividere la libertà. Sono essi che in prima istanza, insegnano il loro pensiero unico e supremo al posto di condividere l’apertura all’Altro, e quindi con tutto il suo vissuto particolare e speciale nella sua tanto meravigliosa quanto irripetibile unicità. Spesso ci dimentichiamo che quando diciamo:

Burundi-circled4”Io penso questo… Riguardo a questo soggetto io la penso in questo modo..” allo stesso tempo introduciamo innegabilmente la presenza dell’Altro. Dire che Io Penso, significa che esiste allo stesso tempo un’Alterità che pensa tanto quanto noi. Che ha il diritto di esistere tanto quanto noi. Un’Alterità grazie alla quale ci siamo conosciuti. Un Altro che in una certa maniera ci ha dato la vita, poiché l’Essere ha bisogno di un altro Essere per riconoscersi in quanto creatura vivente, per accettarsi come creatura pensante. Purtroppo l’Uomo si scorda molto spesso quanto l’Altro sia consustanziale alla sua esistenza. Probabilmente la stessa scomparsa del Pensiero Critico e al contempo Tollerante nei riguardi della Diversità, ha segnato la stessa fatale scomparsa dell’incontro con l’Altro. Incontro che diviene sempre di più uno scontro tanto con l’Alterità che con noi stessi. L’annullamento di questo essenziale incontro con l’Alterità sottende lo sbriciolamento di quel cruciale incontro con se stessi. Io mi chiedo spesso dove arriveremo. Fin dove l’uomo moderno ha il desiderio di spingere la sua vanità d’essere, o più precisamente la sua vanità di apparire. Di mentire. Constato io stesso che sono partito per descrivervi il mio lavoro di sostegno con i più piccoli, per poi trattare il tema dell’Educazione. Soggetto che mi sta molto a cuore. Ciò che voglio dire per concludere questo pensiero sull’Educazione è che ho un po’ paura per l’uomo, e quindi per me stesso in primis poiché non vedo veramente una fine alla nostra caduta morale. È per questo che cominciando a scrivere, sono stato perdutamente catturato dall’idea di esprimere il mio dissenso nei confronti dell’Istituzione Scuola. Sostanzialmente ciò che John Dewey esprimeva a cuore aperto in questi termini:

”In realtà non è la società che guida o bene sceglie l’Educazione, ma per vero succede perfettamente il contrario. La società è il modello, è il riflesso di ciò che l’Educazione ha fatto nei suoi confronti. È quest’ultima che forma, compone e colora l’Io sociale”.

Ci tenevo a condividere tutto questo, proprio perché credo con ardore che la scuola può e dovrebbe rivoluzionare le menti, e non bloccarle né lobotomizzarle.

Detto questo ritorno ai piccoli ragazzi del collegio. Proverò a collaborare con loro in un’altra maniera, dal momento che se loro sembrano non volermi venire incontro, bisogna assolutamente che io vada incontro a loro, per fargli finalmente comprendere quanto sia bello imparare a imparare. Siamo qui per arricchirci vicendevolmente, e di sicuro le difficoltà possono farci a poco a poco capire quanto la vita sia bella.

Si dopo tutto, la vita è un’opera miracolosa.

Viviamolo a fondo poiché ne vale la pena, poiché avere rimpianti significa non aver avuto il coraggio di provare, non avere avuto il coraggio di sperimentare e sperimentarsi.

Conosciamoci a fondo in modo tale di poter accettare l’amore che l’Altro è nato per donare, per donarci.

Vedo il mondo come un immenso e puro specchio interiore dove tutti hanno la possibilità di guardarsi sinceramente a fondo con e grazie all’Alterità, e soprattutto dove ciascuno di noi può trovare sfumature e contorni desueti di se stesso ovunque andrà. Ovunque andremo, ovunque cammineremo avremo sempre la possibilità di scoprirci e riscoprirci. Avremo sempre la possibilità di trovarci nella nostra irripetibile bellezza.

Buon cammino a voi tutti verso l’incontro tanto proteiforme quanto incantevole con voi stessi.

Nicola

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Il sorriso di una tradizione che grida al mondo bianco che la semplice gioia quotidiana rimarrà sempre proprietà dei Neri – Nicola Canestrari

Ventisettesima “Lettera dalla missione”. Ce la scrive Nicola, volontario Urukundo in Burundi da 5 mesi.

Cari Ragazzi/Ragazze,

Mi dispiace che non vi scrivo da un pochino. Il fatto è che da due settimane siamo entrati nel periodo degli esami. Quindi fra la scuola la mattina e il collegio il pomeriggio, sono alquanto occupato. Il tempo per scrivere a volte mi manca. In questo periodo mi succede di arrivare alla sera, veramente stanco dall’intensità della giornata vissuta. Stanco ma al contempo gioioso. Gli esami termineranno alla fine della prossima settimana. Dopo di che entreremo definitivamente nel periodo di vacanza. Non vedo l’ora di poter riprendere un po’ fiato, facendo qualche piccolo viaggetto o bene riposandomi nelle mie lunghe passeggiate in natura. Come Penso, molti fra di voi sapranno già che il Burundi ha la nomea del Paese dalle mille colline. Colline che sono verdi, e allo stesso tempo direi colorate d’incanto. Colline che al contempo fungevano da campi di battaglia durante le continue e fratricide guerre, che hanno pervaso e massacrato il popolo burundese. Come scrivevo in altre lettere, passeggiare mi permette in una certa maniera di liberarmi, almeno temporaneamente, di una pesantezza che spesso compone la vita Africana. Pesantezza che in vero viene vissuta soprattutto da degli occhi stranieri, come sono i miei. Per loro, gli autoctoni, sembra che tutto proceda come è sempre stato, e come d’altronde sempre sarà. Ciò che io percepisco come Follia, loro lo sentono come una normale Normalità che scorre nelle loro vene e che sempre in tale maniera scorrerà. Pesantezza che ancora una volta, inghiottisce me e non loro, poiché gli afrBurundi-circled4icani sono forti. Gli Africani hanno sempre sorriso alla vita. È incredibile il loro spirito di adattamento alle mille accecanti difficoltà che compongono la loro vita di tutti i giorni. Il Burundi da quando ha vissuto la cosiddetta decolonizzazione, fra l’altro denigrante concetto che io trovo alquanto artificioso e ipocrita poiché la colonizzazione non è mai finita, è quasi sempre stato in una guerra continua. Per tutta risposta, i Burundesi continuano a sorridere come se nulla fosse. Essi possono avere i più grandi fastidi interiori, ma in ogni caso non ho mai visto un burundese che non apra le sue labbra per sorridere di fronte alla vita. Questa piccola gioia innata nei loro occhi, gli aiuta a vivere malgrado tutto. Li aiuta incessantemente a continuare a sperare. A volte mi risulta molto difficile riuscire a comprendere la loro forza, la loro volontà di vita. Forse è proprio per questo, che in un certo senso il mio cammino nella terra burundese sarà sempre illuminato da paradossi e incomprensioni. È un mondo così differente nei suoi colori, e nelle sue forme di vita che cercare di abbracciarlo, diviene un processo interiore pieno di voli alti e di cadute profonde che ti affascinano, ma che allo stesso tempo ti fanno tanto soffrire e riflettere a lungo. Penso di non avere mai provato qualcosa di simile nella mia piccola e corta vita. Ritrovarmi cosi a fondo davanti a me stesso, e allo stesso tempo così all’improvviso, mi spaventa. Sì a volte provo una certa sorta di paura, perché mi dico che sono finito in un circolo di vita più grande e più vasto di me. Un circolo di emozioni e di sensazioni che molto spesso non riesco a canalizzare, e che quindi finiscono per travolgermi. Resto felice della mia scelta, poiché la cercavo da tanto tempo e finalmente la sto vivendo. Resto felice nella mia sofferenza. Infatti come ripeto spesso, tante cose mi intristiscono buttandomi inevitabilmente giù di morale. Cose che spesso rimandano più a una cultura bianca dominatrice sardonica e perniciosa della storia, che di una cultura Nera dominata e in un certa maniera ancora schiava di quell’opportunismo occidentale. Cultura Nera che per contro ha sempre reagito alla vita con un lungo sorriso, poiché il sorriso non si può togliere e non si può comprare. Poiché il loro sorriso, è il sorriso di una tradizione che grida al mondo bianco che la semplice gioia quotidiana rimarrà sempre proprietà dei Neri, a discapito degli infelici bianchi colonizzatori. Quando mi vedo così preso, e così impegnato nella lotta dei colori, che in realtà purtroppo simboleggiano molto più di un semplice colore, mi domando incessantemente perché io ne soffra così tanto. Me lo chiedo giorno dopo giorno, e ancora dopo quasi 5 mesi di vita in Burundi, non riesco a trovare una risposta esaustiva e soddisfacente. Quindi continuo a cercare, ovvero continuo a soffrire. Una volta il Diso mi disse che l’Africa non è per tutti, poiché essa ha la magia di mettere l’uomo finalmente di fronte a se stesso. Incontro, che molto spesso si tramuta in scontro, che è perpetuo e sempre costante. L’Africa non ti lascia scampo. Devi assolutamente presentarti in un modo o nell’altro davanti a te stesso. Ed è proprio lì che riposa l’altalena africana. Sta soltanto in noi il voler cercare di dondolarcisi sopra, o bene evitarla. Devo ammettere che quell’altalena interiore mi ha sempre affascinato così tanto, che ne sono finito perdutamente innamorato. Innamorato della ricerca, innamorato di provare almeno a comprendere che cosa succede dentro di me. E adesso una sorta di fuoco si è illuminato dentro di me. Un fuoco che tante volte mi scalda, ma che al contempo tante altre mi brucia. Come mi ripete sempre il mio caro e saggio responsabile il mio problema principale, è che non riesco ad accettare il colore della mia pelle come il colore che qui in Africa ha fatto strage e panico ovunque è andato. Non riesco ad accettarmi come figlio di una razza bianca che nel corso della storia non ha dimostrato altro che di essere una razza di assassini crudeli e insensibili. Personalmente penso che in parte lui abbia ragione, ma allo stesso tempo credo che il mio furore provenga dal fatto che Nicola sar_DSC0456à sempre un appetitosissimo soldo bianco che cammina per le strade del Burundi. Più precisamente per le buche del Burundi. Sarò sempre riconosciuto per i miei cosiddetti soldi. Per il mio fantomatico prestigio esteriore. È come se fossi un dorato vapore di uomo bianco che respira soldi e che non fa altro che produrli. Sono venuto qua perché ero terribilmente stanco di tutto questo avvelenato marciume nauseante, che l’abuso del soldo produce intorno a lui, intorno a noi tutti. Ed eccomi qui in Burundi per essere continuamente bollato come quell’esecrabile soldo sprecato che tanto detestavo. Ed eccomi qui per ritrovarmi giorno dopo giorno sbattuto in faccia la mia origine bianca. Origine ricca. Origine portatrice irreversibile di soldi. L’uomo bianco cammina per distribuire ovunque soldi, poiché alla fine è questo ciò che rappresentiamo per gli Africani: L’esempio della magica ricchezza esteriore. Sono riconosciuto momento dopo momento come esempio perfetto di tutto quello che più odio nella mia vita. Sono riconosciuto come simbolo di ciò che più volevo allontanare da me, e dalla mia vita. In fin dei conti, è anche un po’ questo la verità dell’Africa. La verità che tante volte i sogni sono belli, ma la realtà è molto più dura e diretta. Essa ha la forza di sbatterti contro un muro spesso insormontabile. Muro che almeno qui in Burundi, è stato creato da l’uomo Bianco. Banco come me. Bianco come ognuno di voi.
Detto questo non pensiate che abbia paura, o bene che sia demotivato.
Il mio desiderio di continuare è un desiderio che non può addormentarsi, poiché ho voglia di cercare di capire. Ho voglia di vedere fin dove i miei pensieri possono arrivare.

Abbraccio a voi tutti come se foste qui accanto a me.
Trasportati noi tutti da un Amore Celeste che, a differenza dell’Uomo, comprende l’incomprensibile condivido con voi la gioia di un sorriso. Lo stesso sorriso gioioso che il Sole e la Pioggia condividono con i Burundesi giorno dopo giorno.

Buon cammino a tutti voi.

Nicola

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Quale fu il prezzo da pagare per questa cosiddetta civilizzazione che i bianchi portarono? – Nicola Canestrari

La lettera di Nicola, volontario Urukundo in Burundi, è la ventiseiesima della rubrica “Lettere dalla missione”.

Cari ragazzi/ragazze,
come state?

Come vi dicevo già, avevo pensato di dedicare questa lettera all’assassinio del presidente burundese nel 1993. Come penso già sapete esso era con il presidente appena eletto del Ruanda. In realtà entrambi erano stati appena eletti. Per quanto concerne più precisamente il presidente del Burundi, esso era divenuto tale esattamente da tre mesi. Essi ritornavano in areo da una riunione svoltasi in Tanzania, e stavano rientrando nelle loro rispettive patrie. L’areo cadde, non per caso ma per volontà precisa di alcuni, e i due presidenti morirono insieme prima di poter riabbracciare la loro amata terra. Questa prefazione, di sicuro alquanto breve e poco argomentata, fu la prefazione di un guerra civile, di una guerra etnica, di un vero e proprio genocidio. Non sono uno storico, e in questa lettera non aspiro a compiere una dissertazione storica, poiché ne sarei profondamente incapace. Ciò che posso, e mi sento di fare è di dirvi che cosa le persone che ho incontrato qui mi hanno detto riguardo la guerra. Le stesse persone che ancora continuano a raccontarmi storie crudeli giorno dopo giorno. In più mi piacerebbe anche condividere con voi la mia di testimonianza, dal momento che è da tre mesi e mezzo che sono qui, e vivo istante dopo istante i frutti dell’atroce colonizzazione.

In verità quando la guerra scoppiò in questa parte dell’Africa, spesso dimenticata dagli assopiti occhi occidentali, io ero così tanto piccolo e così tanto ingenuo. Avevo solo tre anni, e probabilmente riuscivo appena a comprendere ciò che mi attorniava fisicamente. Di sicuro nella mia infanzia non pensavo all’Africa, come tanti fra di noi in occidente, e sostanzialmente sono cresciuto non pensandola affatto. Sono cresciuto dimenticando, in una maniera negligente, momento dopo momento quella mia piccola e allo stesso tempo essenziale parte di me Africana. Parte che in ogni caso si trova all’interno di ognuno di noi. Non soltanto in Nicola, o bene in Simone o Lucia. Essa è una luce che si trova e si troverà per sempre in ognuno di noi. Spero tanto che un giorno il mondo sarà più consapevole di quello che ha fatto, di quello che continua a fare, e specialmente di quello che dimentica istante dopo istante, preso come esso è per una fretta egoistica di fare, di accumulare, di contare, di prevaricare. Quando inizieremo veramente a vivere la vita? Quando cominceremo a camminare dentro di noi, per scorrere a poco a poco verso l’incontro sincero con l’Altro?

In ogni caso, per tornare al nostro soggetto, cominciai a pensare alle Terre in via di sviluppo più o meno verso i 19 anni, e con più attenzione all’Africa verso i miei 22. Quando pensavo all’Africa non pensavo di certo al Burundi. Il mio era un sogno africano che coltivavo da tempo, e che in realtà si realizzava poco tempo dopo verso la fine dei miei 23 anni appunto in Burundi. Sono così gioioso di essere qui. Tante tante volte mi succede di svegliarmi, pensando a quello che ho la possibilità di provare giorno dopo giorno, e al fatto che il mio sogno sia diventato reale. Sì posso affermare ad alta voce, che i sogni possono veramente diventare realtà se solo lo si vuole fino in fondo. 

Ritornando a noi, posso dire che appresi le vicissitudini della guerra pochi mesi prima di partire, ed è fondamentalmente quando ho iniziato a portare finalmente i miei occhi e i miei piedi nella terra Burundese, che ho cominciato veramente a comprendere. Comprensione che continuo giorno dopo giorno, e che penso di non poter finire mai.

Quindi è proprio qua che i burundesi mi hanno cominciato a parlare della guerra, e allo stesso tempo è appunto nella loro terra che ho visto gli effetti funesti della colonizzazione. Colonizzazione, che per molti, fu il porta-voce principale ma al contempo latente di tutte le guerre svoltesi in Burundi. Sono i bianchi, sì i bianchi co_DSC0456me me, come voi tutti, che hanno introdotto le prime distinzioni etniche dando tutto il potere ai Tutsi, ovvero il 13% del popolo burundese, e lasciando in tal modo l’84% della popolazione, ovvero gli Hutu, soggiogati e imprigionati dai primi per quasi mezzo secolo. Naturalmente in questa categorizzazione etnica dove i primi erano i prescelti e i secondi erano come degli schiavi, non ho enumerato i nostri cari amici Pigmei che sono il 3% della popolazione burundese. Quest’ultimi venivano profondamente stigmatizzati e messi da parte come degli scarti immondi, indegni di camminare nel suolo burundese. Si, i nostri cari amici erano totalmente disprezzati, e tutt’ora essere un Pigmeo nel suolo Burundese è tutt’altro che semplice. Ci tengo a dire che è proprio riguardo al nostro apostolato che intravedo gli occhi di Cristo. È completamente meraviglioso il desiderio di cristiano di aiutare gli ultimi fra gli ultimi. Di soccorrere i più miseri fra i miseri. Pensare che il Burundi è il paese più povero in Africa, e all’interno di tale esagerata povertà ci sono ancora degli esseri umani che decisero di aiutare gli ultimi degli ultimi in questa doppia povertà estrema. Mi reca sempre una sorta di gioia rasserenante pensare a quello che facciamo qua. È per questa ragione che ogni mattina quando mi sveglio mi sento onorato di poter condividere la mia vita con loro, poiché i nostri cari amici Pigmei mi danno incommensurabilmente tanto giorno dopo giorno, istante dopo istante. Sarei un insincero ipocrita se negassi l’energia che essi mi danno. Per vero essi fungono da vero e proprio sostegno morale, che mi permette di continuare a affrontare momento dopo momento ogni nuovo giorno africano. Essi mi permettono di sognare di permanere qua un anno. Essi mi danno la forza per poterci sperare. Senza di loro non ce la potrei fare. Non mi sento mai in difficoltà con loro, non mi sento mai giudicato né straniero. Mi sento una parte integrante del collegio, e sapete sentirsi veramente accettati, sentirsi veramente a casa, è la sensazione più pura e più soave che secondo me l’uomo ha la possibilità di percepire in questo mondo.

Iniziando però questa dedica ai miei cari amici e fratelli del collegio, mi sto un po’ disperdendo riguardo le vicissitudini della guerra.

Quindi eravamo arrivati al fatto che i bianchi dopo aver colonizzato, lasciarono il potere nelle mani di una piccolissima parte della popolazione, ovvero i Tutsi. Qua mi raccontavano che i colonizzatori all’epoca amavano chiamare i loro amici Tutsi dei bianchi nati con la pelle nera. Infatti l’ipocrisia e soprattutto la stupidità arrogante dei bianchi, li aveva portati a fare delle differenziazioni etniche soprattutto basandosi sulle qualità fisiche o bene fisiologiche. Quindi il loro non senso li aveva portati a dichiarare che i Tutsi erano più simili ai bianchi, dal momento che erano alti e forti. Per contro gli Hutu meno forti e meno prestanti fisicamente erano l’altra etnia. Naturalmente una volta arrivato qui, mi spiegarono che tale distinzione etnica, basata sull’aspetto fisico, era in gran parte erronea. Sostanzialmente fu un altro atroce aspetto dell’Arroganza dei colonizzatori che pensavano di poter conoscere, e di poter sapere tutto. A volte mi chiedo fin dove l’uomo arriverà con questo pernicioso desiderio di fare del male, di distruggere, di massacrare, di prevaricare l’Altro. Quando ci penso ne sono totalmente nauseato, mi verrebbe voglia di vomitare sopra coloro che al tempo vennero qui in Burundi, e d’altronde ovunque in Africa, per distruggere e per soffocare un popolo che non conoscevano neanche. Mi verrebbe voglia di urlargli contro fino a perdere la voce che l’uomo viaggia per conoscere, per conoscersi con e nell’Altro, e non per massacrare e per portare la propria idea, il proprio modo di vivere come simbolo assoluto da seguire in una maniera irrevocabile. Sapete quando passeggio in mezzo alla gente e che vengo chiamato Umuzungu, ovvero Uomo Bianco, almeno 50 volte al giorno mi chiedo il perché del fatto che debba essere sempre riconosciuto per la mia razza bianca, come se fossi un oggetto bianco che cammina per la strada. Mi chiedo il perché non possa essere visto come un essere umano come loro. Sapete quando quelle 50 volte al giorno in cui mi chiamano Umuzungu sono irreversibilmente accompagnate dalla richiesta di soldi, mi chiedo costantemente perché io debba essere visto come un soldo bianco che cammina. Perché debba indiscutibilmente essere riconosciuto o bene qualificato come un oggetto di razza bianca che cammina portatore di soldi. È atroce pensare a tutto questo, e per tanti versi è abominevole viverlo. Quando ci penso, e d’altronde sarebbe impossibile non pensarci dal momento che sono gli africani stessi che ti ci fanno pensare giorno dopo giorno chiamandoti in questo modo e per questo nome, ne soffro immensamente e mi sento dannatamente solo nella mia sofferenza. Mi sento non capito, poiché tale considerazione dell’uomo bianco è talmente ancorata nella loro coscienza collettiva, che diviene una sorta di impulso meccanico comportarsi in tale maniera alla vista di un bianco. È un riflesso incosciente, non riflettuto che si ripercuote nel reale cosciente di ogni giorno. Ho visto bambini piccolissimi che secondo me non erano neanche in grado di parlare ancora il Kirundi, ovvero la loro lingua nazionale, che vedendomi riuscivano a verbalizzare alla perfezione il suono Umuzungu. Penso che la parola Uomo Bianco sia la terza parola che ogni essere umano burundese apprende, dopo i suono verbali di Mamma e Papà. L’uomo bianco sarà sempre visto come un immenso portatore di soldi, dal momento che furono i colonizzatori i primi a portare i vestiti, a portare i soldi. A costruire strade e Scuole. Per contro io mi domando quale fu il prezzo da pagare per gli africani a causa di tutto questo?? Quale fu il prezzo da pagare per questa cosiddetta civilizzazione che i bianchi portarono?? Il prezzo da pagare fu la morte di milioni di persone. Lo sterminio di una cultura locale per introdurne un’altra. La cultura dei bianchi. Quando penso a tutto questo sono come assalito da una nausea soffocante che mi permette a mala pena di respirare. Pensare che io ho deciso di abbandonare tutto per dedicarmi cuore e anima alla condivisone africana. Potevo continuare gli studi, o bene lavorare come d’altronde fanno tutti, per contro ho preso la decisione di venire qua, poiché volevo ritrovare qualcosa di speciale, volevo ritrovare la bellezza di essere e sentirmi un essere umano, figlio e fratello di un mondo solidale e aperto all’incontro con l’Alterità. Ho deciso di venire in Africa, e ne sono infinitamente gioioso, poiché a poco a poco ho sempre più la possibilità di fare un lungo e intenso lavoro su me stesso che non avevo mai intrapreso prima. O almeno non con le stesse intensità e con lo stesso ardore. Detto questo non posso però negare il pensiero che ho appena condiviso sulla colonizzazione, sulla quotidiana vita africana poiché esso è frutto di quel lungo lavorio interiore che sto facendo nei confronti di me stesso. Continuo a trovare in una certa maniera paradossale il fatto che la gente mi domanda continuamente dei soldi, quando io appunto ho deciso di venire in Burundi a fare del volontariato per tutt’altre ragioni che donare materialmente dei soldi. Sono venuto per donarmi interamente, poiché penso che ognuno di noi valga infinitamente più di un futile e spesso dannato foglio di carta che l’Uomo ha sardonicamente chiamato soldo. Tuttavia per quasi tutti i burundesi Nicola resta e resterà per sempre solo un soldo bianco che cammina. E’ la stessa cieca ragione, che potrebbe senza alcun problema sollecitarli a uccidermi in una disperata ricerca di soldi se camminassi di notte da solo. Uccidermi poiché sarebbe incredibilmente inconcepibile immaginare, e pensare a un Bianco sprovvisto di soldi. Ma d’altronde come potrebbero vedermi in una maniera diversa?? Furono i bianchi i primi qui a donare i soldi, a donare i vestiti, a voler dimostrare quanta superiorità differenziava i bianchi dai neri. Quante cose attorniavano l’Occidente allora che l’Africa era una terra considerata di retrogradi selvaggi da sfruttare, dominare e civilizzare. Che nausea che a volte penetra il mio intero corpo. Come potrebbero quindi vedere il Bianco in un modo diverso che un portatore e facitore di soldi?? Essi sono delle vittime della storia, come d’altronde nella mia superficiale e minuscola piccolezza di essere umano io ne sono vittima. A volte è paradossale e allo stesso tempo bizzarra l’altalena della vita. Si viene in una terra nuova pensando di trovare tanto, e alla fine si è vero che si trova tanto, ma allo stesso tempo si trovano tante di quelle cose che non ci saremmo mai immaginati di trovare. Cose che ti fanno soffrire, che ti fanno piangere, che ti fanno venire voglia di non credere alla crudeltà, che in tante occasioni ha pervaso e al contempo offuscato l’Uomo. Mi accorgo che tante volte quando passeggio, e vengo chiamato Umuzungu la cosa che più mi destabilizza è di essere riconosciuto, e in una certa maniera categorizzato come una sorta di figlio di una razza bianca, che molto spesso nella storia ha dimostrato di essere una razza di assassini crudeli e immondi, credendosi conquistatori di un mondo che in realtà non hanno mai conquistato e che non conquisteranno mai. Massacrare, sterminare, portare via sono secondo me sono soltanto degli atroci sinonimi della morte. Può l’uomo conquistare la morte?? Mai potrà. Al posto di conoscere l’Altro, essi vennero per affrontarlo, per dominarlo, per soggiogarlo. Il viaggio che nasce come lo spirito libero per eccellenza, dove s’incontra l’Altro, dove ci s’incontra, fu ciecamente trasformato dai colonizzatori come un’opportunità di scontro. Potevano cercare il supremo Incontro, ma essi per contro scelsero l’immondo Scontro. Personalmente ne soffro giorno dopo giorno, e mi sento disgustato di essere figlio di quel secolo. Figlio di un popolo bianco che ha creato tanto terrore nel mondo. Quando mi guardo dentro soffro momento dopo momento di essere figlio di un popolo bianco, che mi fa pagare istante dopo istante sulla mia pelle ciò che non ho fatto, ciò che non ho commesso. È un vero e proprio indimenticabile incubo, pensare fino a quale punto i Bianchi osarono spingere la loro cieca e egoistica crudeltà in Africa. Una vergogna che pervaderà per sempre determinati contorni dei miei occhi, finalmente divenuti coscienti di che cosa successe tanto tanto tempo fa nell’altra parte del mondo. Vergogna che ha creato la stessa guerra civile del 1993, poiché come dicevo fu una guerra etnica, e chi se non i bianchi portano le prime categorizzazioni etniche?? Che cosa altro le parole possono arrivare a descrivere quando si tratta di un popolo intero che piange per una guerra etnica, per una guerra civile in una certa maniera indispensabile a far capire che gli uomini erano esausti di essere ingiustamente dominati, comandati in un modo dittatoriale e disonesto. Fu lo stesso popolo in rivolta che decise finalmente di pronunciare le magiche sillabe che prendono il suono di “No” per urlare a voce alta che il Burundi non poteva continuare ad essere comandato da un piccolo numero di persone dispotiche. Così finalmente elessero un presidente Hutu, e come iniziavo la mia lettera quel presidente cruciale nella storia della libertà burundese venne assassinato il 21 ottobre del 1993. L’assassinio della libertà scosse fino in fondo un popolo già in rivolta, che cominciò un massacro etnico fra gli Hutu e i Tutsi. Un massacro che colpì e toccò il cuore di tutti. Un massacro che li portò tutti all’inferno. Un inferno divenuto terrestre. Durante tale genocidio gli sporchi bianchi colonizzatori ebbero ancora il coraggio di dire che erano dispiaciuti per i loro confratelli Tutsi, visti come vi dicevo come dei bianchi nati con la pelle nera, che venivano uccisi giorno dopo giorno durante la guerra. Non ho parole per descrivere quale livello di disumanità i bianchi lambirono con le loro immonde mani. Mi viene solo voglia di piangere. Solo voglia di comprendere il perché di tutto questo. In ogni caso la guerra terminò nel 2005, lasciando ancora in sospeso tante cose, tanti pensieri. Per molti il conflitto etnico non è ancora finito, tanti altri fanno finta di non pensarci cercando di andare comunque avanti. Personalmente ciò che posso dire, è che fu proprio in quel sorriso che funge da dolce sottofondo a qualsiasi cosa qui in Burundi, e che fu il sottofondo dei racconti di guerra che io compresi quanta forza e quanta voglia di sorridere hanno gli africani. Pensare che dall’altra parte del mondo ci angosciamo, e entriamo in una nera e oscura inquietudine per Niente allora che qua essi trovano ancora l’energia e il puro coraggio di sorridere insieme, di sorridermi momento dopo momento dopo tutto questo oceano di male che hanno passato e vissuto in profondità nella loro pelle. È stupefacente il loro desiderio di vivere, di dire “Sì” alla vita in tutti i suoi contorni. In tutti i suoi aspetti.

Detto questo non posso che ringraziare l’Africa per tutto quello che mi sta dando. Per tutto quello che mi sta facendo capire. Volevo venire qui, poiché ero talmente desideroso di aprire completamente i miei occhi nei riguardi del mondo. Volevo vedere, vedere con i miei propri occhi. Volevo divenire cosciente di essere nel mondo, di esserci. Finalmente mi ritrovo nel bel mezzo di una terra radicale e esagerata, come tutto d’altronde qui in Burundi, e ringrazio infinitamente il cielo di avermi dato la possibilità di poter scrivere il mio viaggio con e in mezzo a loro. Soffrendo e gioendo. Soffrendo e sentendomi vivo come non mi succedeva da tempo.

Riflettete sul mondo poiché esso vi appartiene. Poiché esso abbraccia ognuno di noi. Poiché esso ci permette di sentire, di sentirci insieme.

Vi abbraccio nel sorriso della vita.

Buon cammino.
Nicola

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